TRATTO DA REPUBBLICA.IT
Icona televisiva, sex symbol per frotte di teenager allevate a suon di Amici di Maria de Filippi. Così recita la biografia minima di Kledi Kadiu. Beh, stracciate queste definizioni, cestinatele all'istante. Al ballerino albanese più famoso della tv italiana "non piacciono per niente le etichette". "Io mi sento un ballerino - dice - e così vorrei essere definito, anche se ormai mi sono abituato all'effetto tv". Domani sera sarà per la prima volta alla Versiliana di Marina di Pietrasanta (ore 21,30, 15-40 euro) con Non solo bolero in coppia con Emanuela Bianchini e la Compagnia Mvula Sungani. "E' uno spettacolo pensato per raccontare le vicende di un gruppo di persone che si trovano in un locale, o in un'osteria come quella della Carmen, o in taberna come nei Carmina Burana, o anche nella taverna raccontata nel Bolero di Milloss. Quindi non pensiate a un one man show, è uno spettacolo corale dove su musiche di Bizet, Orff e Ravel si sperimentano passi di danza contemporanea".
Kledi, "sex symbol" non è mica un'offesa...
"Non so, a me non piace neanche l'espressione in sé. Uno perché non mi ci sento, due perché vorrei essere apprezzato per il mio valore professionale, per quello che riesco a trasmettere come artista. Invece la proiezione televisiva e patinata della mia immagine, come quella di chi è diventato famoso nella danza con trasmissioni e talent show, sta compromettendo anche l'approccio dei giovani alla danza".
Che intende?
"I ragazzi sono sempre più superficiali. Io vengo dalla classica e ho dovuto faticare moltissimo per imparare e migliorarmi. Oggi invece i ragazzi arrivano negli stage e non ti ascoltano. Credono che basti aver fatto lezione con Kledi o Ambeta per essere danzatori. E' come se a loro bastasse poterlo scrivere sul curriculum".
A questo non hanno contribuito anche programmi come Amici?
"No. Andate a vedere chi, fra quelli che hanno partecipato al programma, ha poi avuto un posto nei corpi di ballo italiani o nei cast televisivi. Soli quelli bravi. Poi che i talent vengano percepiti come una strada facile di accesso al successo è vero. E purtroppo la tendenza è sempre più negativa".
Cioè?
"La danza è un'arte che richiede sacrifici. Non si può credere di praticarla solo col corpo, bisogna allenare anche la mente e pensare al proprio bagaglio culturale. Invece i giovani sanno poco e non sembrano neanche interessati a conoscere. Durante gli stage o le lezioni alla mia scuola a Roma mi diverto con piccoli sondaggi. Faccio domande sull'opera lirica e sul balletto classico, ma l'80% per cento di loro non sa nemmeno chi siano Nureyev o Baryshnikov, oppure non ha mai visto un'opera a teatro"
Lei arriva dalla classica, perché ha scelto la Tv?
"Intanto faccio anche molto teatro, tanto che fino a gennaio non potrò tornare in televisione. Poi ho scelto il piccolo schermo per tante ragioni: ambizione, voglia di emergere e forse sono stato influenzato anch'io da quello che vedevo dall'Albania della televisione italiana. Ma il cammino di fortuna è iniziato con un episodio sfortunato. Poco dopo essere arrivato in Italia, nel 1994, mi piazzai bene in un concorso per entrare al teatro di Verona. Fui scavalcato perché, secondo il regolamento di allora, in graduatoria dovevano avere priorità i cittadini comunitari".
A proposito di teatri, cosa pensa del decreto Bondi e di quello che sta succedendo agli enti lirici?
"Un disastro. Ho molti amici anche nella compagnia del Maggio fiorentino e so che le loro condizioni di lavoro sono molto difficili. Ma credo anche che l'Italia dovrebbe adeguarsi agli standard internazionali. Negli Stati Uniti, in Inghilterra o a Parigi nessuno ottiene contratti a tempo indeterminato. Si va avanti di due anni in due anni. E' una formula vincente: i ballerini sono stimolati e la qualità ci guadagna. Ma è vero anche che in Italia la danza viene considerata come un'arte gregaria del canto lirico. E questo vale anche per la televisione. Per quanto l'abbia resa più popolare, non riscuote mai tanto successo come il canto".
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